Il 2016 sarà l’anno dei video verticali e dell’adblocking per mobile. E i dati proprietari, first party data, saranno sempre più importanti.
“Grazie all’esperienza acquisita in oltre 30 anni di attività, Aol è un osservatorio privilegiato in grado di cogliere e anticipare i trend che caratterizzeranno i prossimi mesi dell’industry digitale”, spiega Lundari. “Video, mobile, dati, marketplace, attribution: sono solo alcuni degli elementi sui cui editori e brand sono chiamati a concentrare la propria attenzione non solo per rimanere allineati ai continui cambiamenti del mercato, ma anche per essere in grado di ottimizzare i propri investimenti di marketing digitale. Desideriamo perciò condividere la nostra vision per contribuire all’evoluzione di questo settore e fornire una chiave di lettura delle trasformazioni in corso”
Secondo Aol, la visualizzazione verticale scuoterà il settore video nel 2016.
Il video, prosegue la nota, è stato sicuramente il formato che ha generato la più grande crescita di investimenti digitali negli ultimi hanni e allo stesso modo è stato protagonista di grandi innovazioni, basti pensare alla crescenta diffusione di formati coinvolgenti e ingaggianti quali i video 360. Un’altra interessante opportunità per il settore video nel 2016 è rappresentata dalla crescita dei video “in verticale”. Se un tempo i marketer avrebbero protestato al pensiero di creare o ottimizzare i video per la visualizzazione in verticale, oggi assistiamo ad una crescente accettazione di questo formato a seguito della popolarità di alcune applicazioni social come Snapchat, Periscope e Vine. Secondo il guru del digitale, Mary Meeker, la visualizzazione di video in verticale rappresenta ormai il 29% del tempo totale speso sui nostri schermi. Una delle sfide che dovranno affrontare i brand che vogliono far leva sul video “in verticale”, è la volontà di investire per creare contenuti pensati per il mobile, o lavorare con partner che possano rieditare e riadattare gli spot televisivi in questo nuovo formato. Per noi non rappresenta una sfida ma un’opportunità per trovare nuovi modi di coinvolgimento del pubblico e avere una nuova leva di monetizzazione dell’inventory video.
Il 2016 sarà anche l’anno della Mobile Experience. Ad blocking, soddisfazione dell’utente, user experience: tutto quello che un tempo riguardava solo desktop e laptop, oggi si appliRENca e estende anche al mobile. Ma spesso i risultati non sono così soddisfacenti per questo strumento.
Basti pensare ai diversi comportamenti che assumiamo in base al device che usiamo. Con un dispositivo mobile tra le mani, se siamo in attesa della metropolitana o ad una fermata dell’autobus, non siamo disposti ad aspettare 10 secondi perché una pagina si carichi sul telefono. E’ una situazione che in questo contesto viene percepita in maniera negativa, mentre non succede quando siamo davanti ad un desktop.
Quindi, se i vari 2015, 2014, 2013, 2012 sono stati ripetutamente “l’anno del mobile”, il 2016 sarà sicuramente l’anno in cui ci si concentrerà per rendere la Mobile Experience più qualitativa.
Il consolidamento di piattaforme pubblicitarie tecnologiche per mobile, secondo Aol, continuerà nel 2016 con clienti che guarderanno con crescente attenzione alle piattaforme omnicomprensive. I pubblicitari e i brand cercheranno modi efficaci ed efficienti per gestire e distribuire i messaggi curando tutti gli aspetti delle campagne digitali.
L’attribution a livello utente, inoltre, dimostra quanto i brand abbiano sottovalutato il mobile – i brand che l’hanno utilizzata subito hanno di molto aumentato gli investimenti su questo mezzo.
L’attribution era la barriera principale per lo spostamento dei budget verso questo device. Man mano che questa feature viene resa disponibile sul mercato a livello di utente, si vedranno nuovi investimenti sul mobile poiché gli inserzionisti possono collegare direttamente le impression con gli investimenti fatti e possono apportare correzioni nelle campagne in base ai risultati in tempo reale.
Aol prevede anche una rapida crescita dei private marketplace nel 2016. Questo tipo di scambi sono cresciuti ben oltre le aspettative originarie e sono diventati veri meccanismi in grado diper soddisfare le vendite dirette.
Il 2015, poi, è stato l’anno in cui i first-party data sono diventati più ambiti rispetto ai third-party data. Utilizzare dati proprietari, first-party, risulta essere molto più efficace che aggregare e combinare dati indipendenti di terze parti. Un’opportunità accessibile a tutti grazie alla disponibilità di tecnologie sempre più agili.
Mentre l’ad blocking ha dominato i titoli dei media per buona parte del secondo semestre del 2015, le barriere reali al click sono un insieme di diversi fattori di cui l’ad blocking è la punta dell’iceberg. Questo fenomeno ha di fatto posto l’accento su un problema latente. I clienti stanno dicendo agli inserzionisti e agli editori che l’esperienza fornita è scadente – e vorrebbero si facesse qualcosa in merito.
La metà – se non di più – delle ragioni dell’ad blocking devono ricercarsi nell’industria pubblicitaria nel suo complesso. Da tutti i punti di vista: dagli annunci troppo pesanti o troppo lenti, alla creatività non appropriata per il tipo di mezzo, alla mancanza di alta qualità, di pertinenza, o di targeting mirato.
Nel 2016, gli inserzionisti aumenteranno gli investimenti per svariate attività. Tra queste, la multi-touch attribution. I grandi brand stanno studiando questa strategia per capire come possa in futuro aiutarli materialmente ad ottimizzare la spesa pubblicitaria.
Quindi vedremo questo fenomeno espandersi nel nostro settore, influenzando anche il mercato intermedio degli inserzionisti e delle agenzie. La cosa straordinaria, però, è che la tecnologia esiste già, ma è il cambiamento organizzativo e la volontà di abbattere i silos all’interno di agenzie e società che renderà possibile usare e attivare questi strumenti, invece di guardarli su una dashboard dall’aspetto accattivante.
Molte realtà si sono già rese conto che non ha più senso avere avere un team che si occupa di mobile, uno di social, uno di display, e uno di search. Certamente si possono avere degli specialisti, ma non bisogna gestirli separatamente oppure misurare il ROI separatamente, perché l’azienda non ne beneficerà. Più che di tecnologia, si tratta soprattutto di miglio
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